Friday, May 9, 2014

Euridice is gone


Euridice is gone è una sessione d'improvvisazione che ha avuto luogo a Casesa (SP) il 23 e 24 Dicembre 2013. Tutti i brani sono stati registrati dal vivo da Davide Landini e Pier Giorgio Storti, ad eccezione del contributo di Jennifer Oakley (Empty Vessel Music) in "Ade".




Casesa vestita di bianco


Thursday, May 8, 2014

Wednesday, May 7, 2014

Dell'amore e dei suoi fallimenti

5 pezzi facili volume 4 
(Under my bed, 2013)




Musica nelle valli di lacrime
Nelle mie pagine bianche
La Nuova Caledonia
Il desiderio
Sino a che

Morose: Davide Landini, Pier Giorgio Storti
con la partecipazione di Marco Monica, Deborah Penzo, Emmanuel Pidoux.
Registrato e mixato da Marco Monica, Vestola/Parma, Febbraio 2012

"Il penultimo capitolo della serie Cinque Pezzi Facili ospita due graditi ritorni: quello dei Morose, che dopo La Vedova Dell'Uomo Vivo non si erano più sentiti e quello dei Campofame, di cui serbavamo un buon ricordo dai tempi della storica compilation della Wallace P.O. Box 52. Oggi, dopo alcune uscite con formazione allargata a nome In My Room, rispolverano l'assetto e la ragione sociale originale.
Che il passaggio al cantato italiano indirizzasse i Morose verso un cantautorato decadente, era intuibile; che il gruppo, nel giro di pochi anni, potesse giungere fino a questo picchi d'espressività, era invece difficile prevederlo. Rispetto all'album d'esordio nel nostro idioma, questi brani dimostrano una raggiunta maturità sia a livello lirico, sia nella capacità di far sposare musica e parole. Ormai la band di Davide Landini e Pier Giorgio Storti padroneggia il linguaggio con una perizia e una profondità tali da far pensare di aver praticato questa materia da sempre. Landini sfoggia con naturalezza una voce da crooner consumato, con cui racconta poesie dolenti e crudeli, il gruppo lo segue orchestrando alla perfezione chitarre, tastiere, archi e controcanti che non risultano mai eccessivi o ridondanti; le atmosfere scure e dense come pece, l'incidere lentissimo, trasmettono una sensazione di dramma incombente. Suonerebbero così i Songs:Ohia se sulla loro strada avessero incontrato il De André visionario de La Domenica Delle Salme: si ascolti, in proposito, la narrativa e immaginifica La Nuova Caledonia, che da sola vale l'acquisto di un disco in cui comunque la qualità dei brani non è mai meno che eccellente.
Le atmosfere che disegnano i Campofame sono decisamente diverse, sebbene i due gruppi, almeno per quel che riguarda questa raccolta, abbiano alcuni membri in comune. Fanno un effetto strano, i Campofame. Rispetto a nove anni fa non sono cambiati e proprio per questo dovrebbero sembrarci invecchiati, invece i loro strumentali immobili, cristallini, funzionano come una bolla atemporale, facendo partecipe l'ascoltatore del senso di pace nirvanica in cui sono immersi. Dilatando il post-rock con tocchi frequenti e leggeri, anziché abusando dell'effettistica com'è di norma, il gruppo parmigiano costruiscono un ambiente diafano, percorso da una flebile elettricità, dove tutti gli strumenti, da quelli acustici a quelli elettronici, contribuiscono con pari dignità a raggiungere il risultato. Una riscoperta davvero gradita, bentornati." 
Sodapop

"Come auspicato per il loro disco più recente, “La Vedova d’un Uomo Vivo”, i Morose tornano in pista rispolverando una valevole band esponente del post-rock italiano, colpevolmente relegata e affossata nell’underground genovese e italiano in generale, i Campofame. L’occasione è un doppio Ep di cinque pezzi per band. I Morose propongono brani dallo spiccato senso ritmico come la danza al ralenti con loop di “Musica nelle Valli di Lacrime”, il valzer vegliato da nuvole elettroniche di “Nelle Mie Pagine Bianche”, il tango dimesso con timbri da camera di “Sino a Che”. Il gioiello arriva con i 7 minuti di “La Nuova Caledonia”, una rarefazione assoluta di sospiri in coro, strimpellii e fiotti di clarino, tutto a coalizzarsi in una trenodia luttuosa. Così per la lenta estasi bisbigliata di “Il Desiderio”, con pedale a mo’ di zampogna, ma stavolta in tonalità maggiore (quasi un raggio di sole nella loro cupezza assoluta). I Campofame ripropongono come d’incanto la loro sottile complessità folktronica. La passacaglia di “Nothing Personal” è basata dapprima su echi di suoni inudibili e poi dai trilli barocchi dei mandolini rifratti dall’elettronica. L’ambient-techno ecclesiale di “Attitudes” (uno dei loro picchi) subisce una modulazione misteriosa e si sfalda in riverberi e tremori. La cartilagine di palpiti esili di “Daughter” ambisce a unire razionalità e irrazionalità, o a rendere romantici i timbri più scientifici della musica elettronica tout-court. Split-album che ha classe, per i Morose nell’interpretazione del dolore che - dopo due classici del dark-folk italiano - ancora sa inanellare come tappa di un calvario possibile, e per i Campofame nel miracoloso equilibrio di sostanze soniche. Quarto volume di una serie di mini-Cd patrocinato dalla piccola Under My Bed" 
Onda Rock

"Concludiamo arrivando al cd e inabissandoci su dimensioni più intimiste, tiriamo in ballo il volume 4 della serie Cinque Pezzi Facili edita dalla Under My Bed. Dell’Amore E Dei Suoi Fallimenti è il titolo indicativo delle atmosfere che i Morose rilasciano sul “lato A” di questo cd-r, rievocando quelle dell’ottimo La Vedova D’Un Uomo Vivo: struggenti, malinconiche, notturne, di una bellezza conturbante e insieme disturbante. Roba che prende al cuore e lo stringe forte fino a farlo sanguinare. Non ce n’è di simili in Italia, almeno oggigiorno. E purtroppo, non si sa nemmeno troppo in giro." 
Sentire Ascoltare

"Parte con un pezzo che sembra uscito da “Trust”, tra i più amati album dei Low, il quarto episodio della serie “Cinque pezzi facili” della lombarda Under My Bed, gestita da quel My Dear Killer (aka Stefano Santabarbara) che abbiamo omaggiato in un’intervista qualche tempo fa. Non credo che il riferimento al gruppo mormone dispiacerà ai Morose, autori della prima metà di questo CD-R che segue la formula dei precedenti: cinque pezzi (facili o meno lo deciderà l’ascoltatore) a testa per uno split album che, senza un dichiarato filo conduttore, unisce un paio di band a volte diversissime (vd. il precedente di appunto MDK con i Tettumortu), altre più affini. È in effetti il caso di questo episodio, tanto è vero che le due band condividono ben due dei musicisti coinvolti e, in parte, anche le atmosfere malinconiche e ‘in minore’. Ne risulta un dischetto davvero pregevole, con i primi che snocciolano testi molto evocativi su note di chitarra acustica, mandolino, violoncello, clarinetto, violino e batteria. L’insieme è gradevolmente equilibrato, ben registrato e perfettamente misurato, con la sua vetta, a parere di chi scrive, nel walzerino stanco di Nelle mie pagine bianche.
Dal canto loro i Campofame, da noi già apprezzati sin dai tempi del bellissimo contributo labradfordiano a uno dei mitici PO BOX di Wallace e poi nella breve parentesi a nome In My Room, confermano il loro talento nel misurare note sognanti di chitarra acustica ed elettrica con elettronica gentile di stampo Morr. Anche qui i molti strumenti di accompagnamento (viola e mandolino in primis) arricchiscono il paesaggio sonoro che, nel complesso, rimanda parecchio alle musiche di area Epic 45. Nulla di esageratamente originale ma di sicuro cinque brani ben fatti e di facile ascolto.
Una venatura meno enfatica nel cantato per i Morose e qualche passo verso direzioni più ardite per i Campofame potranno portare lontano entrambi i gruppi. Intanto questo CD-R non esce dal mio stereo da giorni. Dato che è una delle 75 copie numerate, vi consiglio di procurarvelo in fretta." 
Sands-zine

"L’etichetta Under My Bed Recordings propone la collana di CD “Cinque pezzi facili” ovvero, in estrema sintesi, sei raccolte probabili (cinque già editate) che raccolgono cinque brani di due progetti alla volta. Tirature limitate (75 copie numerate) e curate. 
Questo quarto volume vede impegnati per primi i Morose , entità esistente dal 1998 e autrice dell’epocale titolo "La Mia Ragazza Mi Ha Lasciato" oramai dieci anni fa. Ora sono un sostanziale duo – Davide Landini alla voce e alla chitarra acustica, Pier Giorgio Storti alla voce, alla farfisa, al clarinetto, al violoncello; più ospiti vari – di folk disastrato e lamentoso alla Matt Elliott virato Piero Ciampi nero seppia (cfr. Musica nelle valli di lacrime). Senza pietà, senza speranza nella loro fuliggine malinconica (cfr. Il desiderio) che soffoca positivamente le evidenti memorie della canzone d’autore (il De Andrè senza popolo e senza popolarità di La Nuova Caledonia). Veri dark: cfr. Nelle mie pagine bianche. 
Gli strumentali Campofame – ovvero Mario Monica alla chitarra acustica, all’elettronica e ai campionamenti; Damiano Paroni alle tastiere, all’elettronica e ai campionamenti; Emanuele Missorini alle tastiere, al basso, al mandolino; Pier Giorgio Storti (già, quello dei Morose: per ricambiare la cortesia di Marco Monica nei primi cinque pezzi) al violoncello, alla viola, alla chitarra elettrica – non sono anche loro degli allegroni (cfr. Attitudes); nel loro folk elettroacustico si percepisce comunque qualche minimalist(ic)a melodia (Tallin), qualche ricordo d’infanzia (Neighbourhood). 
Ambedue interessanti progetti: per contattare l’etichetta info@undermybed.org" 
Kathodik

"Italy’s Morose play music that focuses on the humble acoustic guitar work and ultra-somber vocal stylings of Davide Landini. To this foundation the band adds a wide variety of instruments (farfisa, violin, cello, clarinet, drums, assorted electronics and sampling) to create a music that is remarkably restrained and distinctly spare. The end result is a quiet goth folk that moves at a beautifully glacial pace that I find simultaneously beguiling and calming.
Very nice." 
Sepia Chord (Seattle)

La vedova d’un uomo vivo

(Shyrec/ Ribéss/ Travelling Music/ Boring Machines, 2009) 



Elena dalle candide braccia
Cantimplora
Intorno a una donna dai molti mariti
Ancora una parola
Il campo ha occhi, la foresta orecchi
Tu m’hai detto
Un uomo perduto
Jacques
Lungo la strada

Morose: Davide Landini, Valerio Sartori, Pier Giorgio Storti
con la partecipazione di: Marco Monica, Joan Loizeau, Jennifer Oakley
registrato nel 2008 da Edoardo Savoldi presso Muzak Studio

"Passerà del tempo prima di riprendersi dallo choc che l'ascolto di quest'opera, prima dei Morose in italiano, comporta all'orecchio dell'atarassico non più abituato, se lo è mai stato, alla vertigine dell'attesa. La coproduzione tra alcune piccole imprese del bon ton italico insieme ai francesi di Travelling Music ha il potere di far finalmente risorgere un Lazzaro chiamato Morose, fenomeni con “People have ceased to ask me about you” e appena offuscati nel monotòno “On the back of each day”, che rischiavano di lasciare incompiuta e inedita una pietra fondamentale per la propria carriera e chissà, per la canzone colta di questo Paese. Lugubre e dark come l'ultimo Father Murphy, “La vedova d'un uomo vivo” è un concept che si dipana in modo che nessuna traccia possa dirsi aliena alle altre, protagonista Elena dalle candide braccia e dai molti mariti: in esso nessuna foce è nella catarsi o nel fuoco, assoluta la sobrietà di composizione con l'enfasi lasciata al narratore Davide “Saranza”. Il trio spezzino fa subito strike con il lungo drone semimobile che avvia l'annuncio dell'apocalisse, acquietandosi con corde glabre e piacevole sensazione di essere dentro la storia; Cantimplora avvince alle parole “i veri amori sono quelli finiti” come una elegia dei Black Heart Procession, a precedere un vento di voci, La Piovra in un castello diroccato. Al rifornimento numero quttro le stimmate del capolavoro: Ancora una parola sta fra i migliori passi di sempre per i Morose, impercettibili cori 70 sullo sfondo di un vascello alla deriva senza preoccupazione, l'amore esce dalle casse in un gorgo di veleno. E' chiaro con Theresa che ci si trova in un film, ma non di Dario Argento (troppo stereotipato): l'interpretazione teatral-modugnesca del Saranza sfida il no-jazz sensibile agli slowmovies. Un uomo perduto è lentissima, nello stile degli ultimi Morose anglofoni e di Boduf Songs fino al controcanto, capace poi di sciogliere le catene che sigillano le esequie Lungo la strada. Avrei solo potuto spereare che dato lavoro uscisse così" (8).
Blow Up n.131 (Aprile 2009)

“Lo abbiamo dovuto attendere per ben tre anni questo quarto album degli spezzini Morose ma una cosa, visti i risultati, è sicura: ne è valsa la pena. Nato dallo sforzo congiunto di tre etichette italiane ed una francese (Travelling Music), La Vedova Di Un Uomo Vivo fa fare il decisivo salto di qualità al trio formato da Davide Landini, Valerio Sartori e Pier Giorgio Storti, e non solo perchè questo è il loro primo e già convincente CD in italiano. Sorta di concept album, con le tracce in qualche modo inestricabilmente legate l'una alle altre in un indivisibile abbraccio attorno alla storia di Elena, donna dalle “candide braccia e dai molti mariti”, come precisano un paio di titoli, il disco ha la capacità di farci sprofondare in un universo plumbeo e scurissimo, in cui le parole, il cantato vagamente teatrale e le bellissime musiche, ondeggiano vibranti come una processione diretta verso un baratro ineluttabile. Arrangiamenti calibratissimi e grande senso degli spazi sonori sono una vera costante in queste nove, lunghe canzoni: l'intrecciarsi di chitarre acustiche ed elettriche, piano, tromba, violoncello, qualche percussione sparuta, cori dà vita ad affreschi cangianti ed evocativi, che fanno tesoro della lezione di artisti imprescindibili come Black Heart Procession. Current 93, Matt Elliot. Lasciano poco spazio alla luce le parole e le musiche qui contenute, e l'unica a brillare è quella della più profonda bellezza; lo dimostrano brani come Cantimplora, una ballata a dir poco straordinaria come Ancora una parola, le allucinazioni fantasmatiche di Il campo ha occhi, la foresta orecchi, i rimandi alla poesia di Andrè Breoton e Louis Aragon, la bella confezione arricchita dai dipinti di Jenny Jo Oakley. Tutte testimonianze di un lavoro studiato, sentito, da non sottovalutare e da non lasciarsi sfuggire.”
Buscadero n.313 (Giugno 2009)

Al trio spezzino Morose, esordito una decina d’anni fa con un folk lo-fi che si è fatto via via più cupo e introspettivo, non ha nociuto il passaggio alla nostra lingua, dopo tre album in inglese. I testi di spessore “letterario” - qui con citazioni da Strindberg, Breton e Aragon - ne guadagnano difatti in genuinità e immediatezza. I brani, pur denunciando ascolti di Current 93 e altri cantori dark-apocalittici, riescono poi a distillare una personale canzone d’autore “esistenzialista” che è tutto fuorché banalmente sepolcrale. Valerio Sartori e Pier Grigio Storti (più alcuni ospiti, tra cui Jenny Jo Oakley di Empty Vessel Music) supportano con misura e concentrazione l’intensa declamazione di Davide Landini, in lirici arrangiamenti cameristici che offrono più di un passaggio di impressionante, solenne e austera bellezza.” (7)
Rumore (Giugno 2009)

“La vedova d’un uomo vivo” è la quarta prova per i Morose, che così aprono una strada nuova per loro, ovvero il cantato dall’inglese passa all’italiano. Non posso negare di non aver apprezzato i ragazzi di Sarzana anche per i dischi precedenti, ma l’italiano ha dato loro una movenza sublime. Il timbro forte e sicuro di Davide Landini diventa un magma di poesia che solleva prima gli spiriti assieme a Valerio Sartori e Pier Grigio Storti e poi li cosparge di parole mai scontate, raccontando storie ma anche visioni, immaginazioni, speranze che l’amore perduto per sempre torni sotto forma di sognanti occhi che finalmente sono per lui per poi fargli sollevare i ponti levatoi perché lei è arrivata, parafrasando “Intorno a una donna dai molti mariti”. Questo disco è pieno d’amore, e quindi strugge. Quando non riuscite a lasciare andare lei e quello che bramate è “Ancora una parola” prima di non vederla più e si susseguono i ricordi, o il ritratto di un uomo: “Un uomo perduto” dove la ripetizione delle stesse frasi sembra sbattere contro una roccia la testa e sanguinare sempre di più, per rimarcare il dolore. “Il campo ha occhi, la foresta orecchi” è nel cuore del disco e qui si erge l’anima oscura del gruppo, che s’insinua in territori terrificanti che fanno gelare la pelle e si spinge tra vocalizzi amplificati, spettri tra le dita delle chitarre e voci sussurrate, quando la voce di Davide arriva accompagnata da un movimento svelto del pianoforte e dalla tromba, e di colpo scende la notte. “
Fuori dal Mucchio

“Ispirati dal drammaturgo August Strindberg, i Morose, di cui non ho capito se il nome sia un gioco di parole tra il significato dialettale morose (fidanzate) o l'anglicismo contratto di ''more rose'', muovono i primi passi negli anni '90, sospinti, e ispirati, dai secoli addietro, mescolando con disinvoltura la chincaglieria passata e il moderno presente. Dopo sette album in inglese - anche se, secondo la band di La Spezia ufficialmente sono solo tre - approdano alla lingua nostrana. Il trio, composto da Davine Landini (voce e chitarra classica),Valerio Sartori (chitarra elettrica, cori, tromba, clarinetto, glockenspiel, piano), Pier Grigio Storti (piano, violoncello, chitarra elettrica, clarinetto, campionamenti, cetra), porta il folk lo-fi degli esordi ad una evoluzione stilistica senza difetti, senza compromessi, lasciando spazio ad una creatività ben centellinata. Nel 2009, con ''La vedova di un uomo vivo'' i Morose cedono alla tentazione della lingua italiana non cadendo nel trabocchetto del facile ritornello mainstream. Devastanti. Scuri. Profondi. Nelle nove tracce, prolissamente sublimi, del nuovo album sprizza la voglia di non avere voglia: analisi del quotidiano vivere, allibito dalla faccia grottesca indossata, ancora una volta, dalla società e da noi stessi. L'ottavo, o quarto album, dei Morose, è un romanzo con le note al posto delle lettere, prodotto con il cuore. ''La Vedova d'un uomo vivo'' contiene orchestrazioni ad hoc e non sguaiate, riferimenti letterari (Breton, Aragon, Pirandello, Strindberg, Rigaut), collaborazioni di Marco Monica degli In My Room (laptop nella sesta canzone), Joan Loizeau degli YeePee (letture nelle quarta e sesta canzone), Jenny Jo Oakley, autrice, con un suo dipinto, della copertina (voce e fisarmonica nella quarta, sesta e ottava canzone). Non è un album allegro, c'è ne fin troppa in giro, intendo di allegria finta. Questo è un capolavoro meditativo dei nostri giorni: riflette e fa riflettere. Tutto ciò che abbiamo non è forse ciò che non vorremmo avere? (Dr.Matteo Preabianca) “
Music Map

“ Three dei Black Heart Procession esce nel duemila. Quando viene pubblicato On The Back Of Each Day (Suiteside, 2006), personalissimo trattato dei Morose su certo folk decadente alla maniera della band di Pall Jenkins e Tobias Nathaniel, di anni ne sono passati sei da quella data. Troppi per sfruttare il momento buono di certe cadenze. Aggiungete una promozione non all'altezza per un disco che invece avrebbe meritato ben altra sorte e capirete per quale motivo la metà di voi non sa nemmeno di chi stiamo parlando in questa recensione. 
Poco male, verrebbe da dire. Visto e considerato che c'è La vedova d'un uomo vivo a ricordarci chi sono Davide Landini, Valerio Sartori e Pier Giorgio Storti. Un disco cantato questa volta in italiano ma che nella sostanza non cambia di molto l'approccio del gruppo rispetto al passato. Confermando invece l'albero genealogico delle musiche – all'elenco dei progenitori aggiungete Current 93 ma anche il Nick Cave di The Carny per Il campo ha occhi, la foresta orecchi – e la statura artistica dei Nostri. Tra i pregi, oltre all'onirismo affascinante e alle citazioni letterarie sparse tra lentezze inesorabili e suoni dalla vaghezza inquietante, la capacità di trasformare una svolta epocale - il cambio di idioma di cui si diceva – in un passaggio per nulla traumatico. Anteposti ai pochi difetti, riassumibili nel ricorso a un immaginario “romantico” che talvolta vive di compiacimento misto ad autoflagellazione. Niente, comunque, che influisca sulla qualità finale di questo quarto episodio a nome Morose, che è e rimane opera originale e di spessore.
(7.2/10)”
SentireAscoltare

“Gli orfani dei primi La Cruz potranno finalmente trovare dei degni sostituti nella nuova incarnazione degli spezzini Morose. Dopo tre album di “folk sgangherato” è arrivato il tempo per Davide Landini, Valerio Sartori e Pier Giorgio Storti di registrare un disco cantato in italiano. Sempre collegato con un doppio filo rosso a quella tradizione oscura che unisce silenziosamente Black Heart Procession, Current 93 e Labradford. Questi i gusti musicali dei diretti interessati che sanno plasmare la materia sonora in canzoni profonde ed ammalianti. Come “tu m'hai detto”, dove aitutano anche Jenny Jo Oakley (Empty Vessel Music) alla voce e fisarmonica e Marco Monica (In My Room) al laptop, mentre Joan Lizeau legge un poesia di Andrè Breton” (7).
Rockerilla (Giugno 2009)

“Le canzoni dei Morose sono stranianti. Ti rapiscono, ti succhiano tutta l'energia che hai e poi ti restituiscono alla realtà quotidiana come se nulla fosse... Ma in cuore tuo, lo sai che ti hanno fatto male, come facevano male le canzoni di Ciampi, De Andrè, e Sergio Endrigo.”
La Repubblica delle donne

“Gli spezini Morose, in giro da più di dieci anni, con “La vedova di un uomo vivo” pubblicano il loro primo lavoro in italiano, il quarto in totale. A parte l’idioma, il trio ligure ha cambiato ben poco per quanto riguarda lo stile, dato che insiste con un folk lo-fi accostabile ai primi Black Heart Procession . 
Il ritmo è assolutamente rallentato, le ambientazioni melanconiche e tristi ed il sound è estremamente desolato e lirico. 
I riferimenti alla tradizione italiana sono molti, ma altrettanta è la loro capacità di creare uno stile personale, tuttavia in Intorno a una donna dai molti mariti, la voce del cantante ricorda quella del Federico Fiumani più etereo ed il brano incede molto lentamente, guidato inizialmente da una sola chitarra e poi in progressione entrano gli altri strumenti, in evidenza i fiati nei quali si miscelano riferimenti tanto ai La Crus, quanto a Vinicio Capossela. La voglia di sperimentare dei Morose è tanta, quindi nel Il campo ha occhi, la foresta orecchi il trio ci porta negli inquietanti abissi della nostra psiche, accompagnati da accenni di jazz sperimentale. 
Questo è un disco complesso e di non facile approccio, ma intrigante e con moltissime risorse.”
Kathodic

“Dopo tre anni di assenza discografica da "On the back of each day" la band di La Spezia torna con un nuovo disco questa volta cantato interamente in italiano. Le sonorità non si sono scostate di molto dai precedenti lavori, rincorrendo stili variegati ma che abbracciano come leit motiv quello della malinconia più cupa. Basta ascoltare "Ancora una parola" per capire che le intenzioni della band sono sempre orientate verso scenari plumbei che ricordano i brani più oscuri di Nick Cave ma anche il folk può oscuro dei Black Heart Procession. 
"La vedova d'un uomo vivo" già dal titolo mette l'ascoltatore sulla strada cimiteriale più desolata, accompagnandolo in un viaggio fatto di nenie sepolcrali ben scritte e suonate tra il folk di "Jacques" alle orchestrazioni di "Elena dalle candide braccia". Un disco che abbraccia una quiete quasi irreale e che segna una nuova perla nella carriera dei Morose, evidenziando una crescita stilistica rafforzata dalla scelta controcorrente dell'impiego della lingua italiana.”
KdCobain

“Quanti colori può avere la poesia in musica?
Difficile dirlo, anche perché unire queste due forme artistiche non è semplice e spesso si abusa parlando di dischi e di musicisti di questa unione, ma nel caso dell’ultimo lavoro dei Morose è indispensabile parlare di poesia in musica. Una poesia dalle tonalità di grigio, dai colori foschi e dai toni malinconici, ma arricchita nelle canzoni da una venatura epica e da scelte melodiche altissime, capaci di scendere negli abissi della disperazione quanto di salire ad ariosi mantra come quello che chiude la prima traccia Elena dalle candide braccia, momenti di maggior respiro che mantengono però il tono sepolcrale dal retrogusto antico che caratterizza l’intero disco.
“La vedova di un uomo vivo” segna un punto di svolta per il gruppo spezino, non solo per quanto riguarda le liriche per la prima volta in italiano. Questo disco infatti riesce a dare una forma unitaria a quanto i Morose avevano già detto con i loro lavori precedenti, anche grazie alla scelta di comporre un concept album. Le costruzioni musicali si abbracciano con delicatezza ed eleganza, riuscendo così a non cadere mai in secondo piano rispetto alle parole delle canzoni, e nonostante l’assenza di una sezione ritmica riescono a scorrere con una notevole dinamicità e versatilità tra i brani del disco sfruttando l’uso di più strumenti che ben combaciano con le strutture folk di chitarre e pianoforte arrivando così a una entusiasmante forma orchestrale.
I Morose riescono quindi con “La vedova di un uomo vivo” a comporre un disco dai toni foschi e cupi senza mai tediare l’ascoltatore grazie a testi splendidi e a atmosfere sonore mai banali, un’opera completa e precisa il cui ascolto è meraviglia. “
Sandzine

“In molti li hanno accostati ai Black Heart Procession, ai Calexico più cupi e introspettivi, o addirittura a Nick Cave. Ascoltando questo lavoro dei Morose si ha effettivamente la sensazione di ascoltare dei discepoli di questi tre artisti. Eppure. Eppure il disco in questione, ‘La vedova d’un uomo vivo’ è un disco che, considerando il panorama rock italiano, ha senz’altro un grande punto di forza dalla sua: l’essere un disco unico nel suo genere. Raramente ho sentito un lavoro così suggestivo, curato nelle atmosfere, evocativo come questo dei Morose. Se è vero che il gruppo di La Spezia può ricordare l’una o l’altra band d’oltreoceano, gli si deve però anche riconoscere l’enorme sforzo di aver prodotto un lavoro che difficilmente ci si sarebbe aspettato da un gruppo italiano. Complimenti!” 
Nerdsattack!

On the back of each day

(Suiteside, 2006)




We Guarantee Disappointment
Beginning Of The End
 Rain Dance
 Foie De Dinde
 The Eyes Closed
Drowned Gramophone
Haven't You Noticed?
Cry Faugh!
 Juròdivyi
 Blessing In Disguise

Morose: Davide Landini, Valerio Sartori, Pier Giorgio Storti
Prodotto da Fabrizio Modonese Palumbo, registrato, mixato e masterizzato da Marco Milanesio presso OFF Torino, nel Luglio 2006.

"Colpisce l’unicità del percorso artistico dei Morose. Spieghiamoci meglio: i Morose sono autori di un suono fortemente europeo. Caldo ma distaccato, compassato ma pulsante. Gran disco, lontano dalle cose di tutti i giorni." 8
Rumore

"Un buco nero, un gorgo senza fine: il pessimismo cosmico del trio spezzino protrae a un tempo le sillabe e la lentezza malata di “People have ceased to ask me about you” dentro un granito di dolente spettralità." (7/8)
Blow Up

"Un suono dilatato e umbratile che si rivela via via sempre più caldo, intenso e prodigo di suggestioni, sospeso com’è in una dimensione onirica sorretta per lo più da leggiadri ceselli di chitarra classica, da squisite pennellate di tastiere elettroniche e non, da limpidi fraseggi di tromba."
Mucchio

"Un disco che definire fenomenale è poco. Le dieci canzoni di questo bellissimo album hanno il potere catartico di farti attraversare la malinconia più fosca, un immaginario in bianco e nero o tutt’al più seppiato e un pugno di storie calate in una dimensione astratta e senza confini definiti, facendotene uscire pemeato di dolce e profonda poesia. Un risultato che non ammette ascolti distratti o passaggi affrettati e che, proprio per questo, incide in profondità. Consigliatissimo."
Buscadero

"Un disco che è la rivelazione di un mondo sommerso, oscuro, quasi inaccessibile , impalpabile. Un lungo viaggio, a tratti perverso, negli abissi di disperate e disperanti drinking songs…ipnotiche divagazioni di piano, ketron, tromba e campioni a dare voce agli angoli più oscuri del nostro animo." 7/10
Rockerilla

"Melodie che sembrano provenire da un’altra dimensione, da cui i suoni escono attutiti e ogni gesto appare lontano, slegato da immediata necessità. L’intento di costruire una colonna sonora che segua le rotte dell’emozione e degli echi infiniti del proprio paesaggio interiore."
Rocksound

“On The Back Of Each Day” è l’apice di una storia musicale e letteraria, personale eppure attenta al fluire delle cose. Le trame acustiche e le tastiere si incastrano alla perfezione, per lasciare sfogare in uno slow-core autorale tromba e clarino, impregnando di campionamenti da notte allucinata il substrato di base."
Kronic

"Un lavoro perfettamente riuscito prodotto in maniera impeccabile da Fabrizio Modenese Palumbo dei Larsen e suonato ancora meglio dai Morose che vanno così a confermare la loro incredibile personalità artistica dando all’ascoltatore qualcosa di magico ed estasiante, qualcosa che si ricorda."
Rocklab

"Quasi fosse un periglioso e lungo viaggio dell’anima, questo disco ci costringe a fare i conti con le ambiguità e le paure che l’anima stessa dissimula e nasconde. In esso i Morose vogliono come metterci alla prova e nel farlo danno vita a una sintesi di suoni e di stili, che li consacra quali autori di sommo valore, non solo su scala nazionale, ma internazionale."
Music Club

"La poesia è la chiave di lettura primaria di un disco come ‘On The Back Of Each Day’. Un lavoro sospeso tra analisi interiore, calma riflessiva e intensa evocazione sentimentale. Un lento succedersi di arpeggi acustici, note di pianoforte, tastiere cosmiche, voce narrante e trombe che marcano ancora più a fondo il senso di isolamento che si percepisce. Fragile bellezza sonora allo stato puro."
Music Club 2

"Quella dei Morose è la visione pessimistica di chi ha avuto modo di fissare negli occhi l’abisso e ha scoperto, suo malgrado, di farne parte: cerca disperatamente di mettere da parte gli umori più melanconici, dolcemente perduti, ed è pronto a trasformarli in rumore. Perché è l’unica cosa con cui potrà, forse, combattere ciò che lo circonda. Per ora resta il pianto sommesso, avvolgente e unico, di chi ha conosociuto la consapevolezza. Un album da restare senza fiato, se lo si capisce veramente."
Kalporz

"L’album si dimostra opera visionaria e visuale, capace di colpire in profondità con le sue lentezze e di creare dal nulla espressionismo d’alta scuola, suggestioni prepotenti, catarsi lancinanti. (7.5/10)"
Sentire Ascoltare

"Un disco di una bellezza intensa e delicatissima, perché fuori dal tempo, fuori dalle mode, fuori dal mucchio. Ma dentro il cuore. E lì non c’è spazio per le finzioni, gli atteggiamenti o le pose."
Rockit (Prima Scelta)

"Molti, da quello che leggo riguardo ad ‘On the Back of Each Day ‘, ne mettono in evidenza l’aspetto cupo, e parlano di un risvolto misantropico o addirittura di un pessimismo cosmico. Credo sia più corretto, come scrivevo, dire della grande malinconia, e della ricerca estetica approfondita dei Morose."
FreakOut

"Il gruppo ha spostato in modo continuo e quasi millimetrico gli assi portanti del suo sadcore, ma in modo assolutamente spontaneo, poetico, quasi silente. Anti-demagogico, verrebbe da dire."
Onda Rock

"È un disco che ha qualcosa di Satie, di un andare parigino, di una morra cinese giocata per le ultime caramelle del barattolo.
Ha qualcosa di un’implacabilità eterea, scodinzolante, farraginosa eppur coriacea.
Un disco che non passa, e ritorna, carezzevole e carezzato, e caritatevole."
Hate TV

"Un album d’une beauté incommensurable à l’instar du morceau clôturant l’album (Blessing in disguise). Le mélange des cuivres (clarinette, trompette), du mélodica, du piano et de chœurs élégiaque est à tomber par terre."
Foutraque (FR)


"Belle canzoni, atmosfere avvolgenti ed austere, fanno di questo disco un piccolo lume prezioso da accendere nelle nostre notti più desolate e silenziose."
Perchè No

Tuesday, May 6, 2014

People have ceased to ask me about you

(Suiteside, 2005)




Ich bin der grosse derdiedas 
Words Are Playthings 
Some Squeaking Bones 
Francoise & Cristophe 
 Un plaisir funeste 
Cascando 
Imaginary Walk In Grozny 
Mourning Song 
 Lonesome

Morose: Davide Landini, Mauro Costagli, Valerio Sartori, Federico Moi, Pier Giorgio Storti
con la partecipazione di: Simona Motta, Emmanuel Pidoux e Joan Loizeau (Yeepee), Bernd Spring
registrato in casa da Mauro Costagli, mixato da Aguirre, mastering Emilio Pozzolini

"Gli spezzini Morose a partire dal titolo assai evocativo disegnano pastelli di malinconia riflessiva utilizzando idiomi – inglese, francese e tedesco – e suggestioni che denotano quell’amore per il proprio mestiere che ormai è così raro. “People have ceased to ask me about you” è musica panoramica, naturale, che parla ai valori dal momento in cui inizia (7/8)"
Blow Up

"È un disco fatto di voci e i rumori del quotidiano si mischiano con naturalezza a melodie semplici e suoni piccoli. Se non avete paura degli album che funzionano meglio nelle giornate in cui avete voglia di stare per conto vostro, difficilmente troverete atmosfere più autentiche di queste in cui crogiolarvi."
Rolling Stone

“Se a voi piacciono Devendra Banhart, le Cocorosie, Bonnie Prince Billy, oppure Smog, la musica proposta dai Morose fa per voi.”
D – La Repubblica delle Donne

"I Morose possiedono canzoni belle e amare come Words are playthings e l’istante di Francoise & Cristophe, violoncello e fisarmonica, un po’ Bedhead al principio poi qualunque nome vi venga in mente possa far rima col concetto di spleen e la parola malinconia." 4/5
Rumore

“Rumori appena sfiorati, quasi distrattamente, quasi in un flusso di coscienza, suonano in casa, magari davanti al caminetto. Sweethome-fi più che lo-fi dovrebbe essere la definizione.”
Label Mag

"Un disco da ammirare per bellezza, omogeneità e coerenza. Triste, ma mai disperato. Difficile, ma mai ostico. Oscuro, ma mai buio. Un disco da ascoltare e riascoltare, potendone cogliere sempre nuove sfumature: bravi, bravi, bravi. 4/5"
MusicbOOm

"C’è qualcosa di speciale che alberga delle nove canzoni di “People Have Ceased To Ask Me About You”, qualcosa che si stacca dalla media dell’indie per raggiungere e diventare qualcos’altro. Il ritmo è lento, e l’unica cosa che ti ricordi – oltre alla bellezza siderale delle canzoni, tutte, indistinte – sono i delicati arpeggi di chitarra acustica, i fraseggi strumentali tanto evanescenti quanto intensi e le parole sussurrate nel microfono come a non voler interrompere una magia che sembra farsi sempre e sempre maggiore."
Extra! Music Magazine

"Malinconia, disincanto, dolore, turbamento: i toni e gli umori che dominano il secondo lavoro dei Morose abitano stabilmente quella zona di luce diafana e tremula che separa il giorno dal buio, l’ansia dalla consolazione, il dubbio dalla speranza. Un disco ispirato, colto e franco nel quale la forbitezza dell’eloquio sonoro non minaccia mai la fruibilità delle canzoni, la loro immediata e genuina capacità di suggestione." Rockerilla

"I Morose raccontano stavolta la fine della fine, la sua nostalgia e dunque il suo ritorno. Il silenzio eloquente degli altri si traduce in spazi acustici liquidi dai quali si cerca di nuotare via in fretta pur godendosi la vertigine del naufragio. La discesa avviene nel segno dei Black Heart Procession e di certa scena di San Diego, ma Davide Speranza e soci inciampano anche nelle ascendenze sonore più morbide di Yann Tiersen (“Francoise e Christophe”) e dei Dirty Three."
Il Mucchio

"Un disco bellissimo. Scuro tanto da suonare quasi inquietante. Malinconico, misterioso e romantico. Intimo e delicato. Canzoni folk rock fragili e dolenti quanto affascinanti."
Freak Out

Scarnificatevi, così come il suono (questo suono…) ha deciso di fare, rasentando la disperazione, cullandovi al limite del suo mistero, abbagliando i vostri occhi con luccichii indecifrabili, nuances inquietanti e inquiete. E’ tutto uno stupito, muto auto-contemplarsi. La musica dei Morose descrive un mondo in cui è possibile fissare le rovine con sguardo finalmente rassegnato perché, in fondo, pacificato."
Onda Rock

"I Morose dimostrano di aver saputo affilare ulteriormente le proprie armi, riuscendo a far precipitare l’ascoltatore nel loro grigio e denso universo sonoro."
Music Club

Chitarre acustiche che s’intrecciano tessendo delle trame di materia finissima, voci sussurranti che s’amalgamano creando malinconiche visioni ed una parte ritmica quasi invisibile, a non coprire le suggestioni a cui è sottoposto l’ascoltatore; un sound originale che ci proietta visioni d’acquerelli con colori opachi e pennellate dolci e sensuali."
Alternatizine

"E’ un piacere constatare come ora, al posto del lato buio di San Diego ci siano i vicoli nebbiosi europei. L’intero album ha un ritmo lento e diluito tra malinconie e vibrafoni, tastiere, melodie cadenzate, archi e fisarmoniche. E’ avvolto da uno spleen da uscio di bettola, molto suggestivo e quasi psichedelico nelle sue rifrazioni d’inizio secolo. Nel suo essere molto europeo ed estremamente “sentito”, People Have Ceased… brilla di luce propria. Defilato e sommesso, quanto incantevole."
News

"L’arte dei Morose ha qualcosa d’insondabile che svela le ragioni per tentare di continuare a vivere in solitudine, informa la battaglia campale contro la depressione fagocitante di un mondo indifferente al dolore ed all’assurdità." 7.2/10
Sentire Ascoltare

“People have ceased to ask me about” è incentrato su percorsi notturni, tristi, sofferenti. Buona prova di D. Speranza alla voce, che aumenta la tristezza che pervade tutto l’album. Non dobbiamo aspettarci un album da ascoltare sempre, ammettiamolo, ma deve essere premiata la qualità, l’intenso filone emotivo che si insinua in ogni canzone."
Indiezone

"Ecco lo scatto che ci aspettavamo. Nel punto previsto, perché chi ha talento se ne frega delle tattiche. Parte e va. E noi osserviamo la fuga, inutile dirlo, al rallentatore, con gli occhi attenti ad ogni singola pedalata, temendo possibili forature o cadute. Non avverranno. Un’atmosfera notturna perenne, attraverso un cantato tanto indolente quanto lieve nell’appoggiarsi ad inserti elettronici minimali ed a suoni rubati all’esterno. Ad accompagnarli carezze acustiche violente nella loro ineluttabilità, dolorose perché intense e generate da un approccio mai così drammatico. E’ una musica inesorabilmente sofferta, in cui la pacatezza della scelta strumentale non è altro che l’ennesima accettazione di uno stato di fatto, in cui anche la ribellione assume il significato di utopia. Ben più di una conferma. Semplicemente una perla nera che ci auguriamo sia ammirata da più persone possibili."
Kronic

"Minimalismo come può esserlo quello di un Leonard Cohen agli esordi o del miracoloso Nick Drake di “Pink Moon”: corde pizzicate, tasti accarezzati, accenni di xilofono, percussioni desolate e monotone; musica invernale. Non c’è più progressione possibile, solo splendida cristallizzazione."
Kalporz

"Questo nuovo disco è una rappresentazione dell’apocalisse, con i suoni che rimbombano nelle orecchie. Siamo di fronte a 40 minuti scarsi di musica di una intensità davvero pazzesca. E’ un ascolto doloroso, che richiede impegno, ma che dà delle enormi soddisfazioni. Una conferma, se serviva, dell’enorme talento di Davide Speranza e soci e del gusto della Suiteside di Monica Melissano che gli pubblica questo lavoro." Post-it

"Il disco in questione è uno dei migliori ascolti fatti nell’ultimo mese.(8)"
UDS

"Un concentrato di pop ‘intelligente’ a tinte tenui: le atmosfere sono quesi sempre oniriche, sognanti, sofferte; gli arrangiamenti ricchi di suoni intessuti con buon gusto."
Corriere Mercantile

"This new CD by Morose is a great album, glowing with openness, melancholy and charm."
Monochrom.at

"Superbia, estasi e ipnosi. Sono tre sostantivi che vestono perfettamente il corpo sinuoso di questo “People have ceased to ask me about you”, seguito di quel gran disco che è “La mia ragazza mi ha lasciato”.
Lavoro che ha fatto sobbalzare più di qualcuno per la qualità espressa e per la capacità, quanto mai naturale, di creare atmosfere rarefatte, tanto care a gruppi quali Air, e di riuscire a fondere in maniera implacabile diversi generi.
Chitarre acustiche che s’intrecciano tessendo delle trame di materia finissima, voci sussurranti che s’amalgamano creando malinconiche visioni ed una parte ritmica quasi invisibile, a non coprire le suggestioni a cui è sottoposto l’ascoltatore; un sound originale che ci proietta visioni d’acquerelli con colori opachi e pennellate dolci e sensuali.
Poi quando si passa dal tedesco al francese o dall’inglese all’italiano con tanta facilità all’interno di un solo disco, ci si può rendere conto della grande esportabilità di questa band che certamente non può restare ferma nell’underground italiano.
Non ci resta che sperare che i cinque ragazzi riescano a trovare la diritta via che li dovrà condurre al meritato successo."
Alternatizine.com


La mia ragazza mi ha lasciato

(Cane andaluso/ Ouzel/ Under my bed/ Kimera, 2003)




 Wind took my hair away
Der grune punkt
Worse than a soap opera
 I saw you crying on a bus
 The lumber-room-man
 There's no way to come to you
Going to Damascus
 A lovely waitress
 Three teaspoon of sugar
Protect me from my friends
 I've built up a craft
When you wake up in the morning

Morose: Davide Landini, Mauro Costagli, Luca Galuppini.
Registrato e mixato in casa da Mauro Costagli e Luca Galuppini.


"Direttamente da La Spezia un trio - Mauro Costagli già Lo-Fi Sucks!, Luca Galuppini ossia ONQ, e D. Saranza - che già da qualche tempo ha fatto circolare il proprio nome nel ristretto circuito deegli appassionati più underground. Si parte col freno volutamente tirato, riportando alla luce un certo suono indolente che piacerebbe tanto a Lou Barlow e ai suoi Sentridoh. Il terzetto iniziale [...] infatti aggiorna chitarre acustiche, fisarmoniche e violoncelli in un mood slacker, mai così ben ispirato. Poi di colpo la luce. O meglio, le tenebre. Il gruppo risente dell'influenza dei Black Heart Procession, senza però limitarsi ad essere dei semplici epigoni (la partitura di sega in I Saw You Crying In The Bus farebbe impallidire lo stesso Pall Jenkins!), ma cercando - non senza qualche difficoltà - di tracciare una propria strada. Il folk-blues dei Morose colpisce per la sua disinvoltura e per quell'attitudine realmente veemente, insita all'interno dei diversi brani, soprattutto quando le maggiori influenze vengono più che altro filtrate e trattate (Going to Damascus, A Lovely Waitress). La marcetta lugubre di The Lumber-Room-Man ne ricalca così i contorni più distintivi delle classiche ballate melanconiche del trio californiano, ma al contempo è di una genuinità assoluta e di una bellezza conturbante. Così come sono accecanti le seguenti Three Teaspoons Of Sugar e Protect Me From My Friends, che allontanandosi dal modello originale, si invaghiscono di una certa propensione psichedelica , tracciate dalla chitarra acustica e dal romantico e appropriato suono della fisarmonica. Si prosegue senza fermarsi un istante [...] perché questo album possiede un'intensità notevole e soprattutto ci ricorda che se la nostra ragazza ci ha lasciato, un motivo ci deve pur essere. Forse l'essere troppo pure è un peccato veramente imperdonabile... (8)"
Blow Up # 64

"Indizio utile a chi volesse avvicinarsi a questo disco? Black Heart Procession, senza nulla togliere alla personalità del terzetto ligure. L'album attacca in punta di piedi. Wind Took My Hair Away è una dolce ninnananna suggerita dalla chitarra acustica e dalla splendida voce di D. Saranza (autore delle 12 tracce), dai violini di Luca Galuppini (ONQ) e dalla fisarmonica di Mauro Costagli (Lo-Fi Sucks!). Poi il malinconico abbraccio di Der Grune Punkt e la pensierosa Worse Than A Soap Opera, disincantata riflessione d'amorosi sensi. La strumentale I Saw You Crying On The Bus ricorda il canto delle sirene. The Lumber-Room-Man e There's No Way To Come To You riportano alla mente certo Iggy Pop in chiave minimalista. Gli strumenti scelti per Going To Damascus trasudano culture diverse, così come l'insolito scacciapensieri di A Lovely Waitress. In Three Teaspoons Of Sugar si recepisce un frammento mediterraneo di The Wall, mentre Protect Me... prende le distanze da chi dichiara "amicizia". Crude ma trasognate le liriche della penultima traccia e When You Wake Up... sigla l'album . Stilosa canzone d'autore low-fi cantata in inglese. Se la musica è l'effetto delle "ragazze che ci hanno lasciati" c'è da auspicarsi che accada più spesso! 
(Grad Meter: High)" Rumore # 140

"Tutto nasce dalla nenia acustica di Wind Took My Hair Away, brano di apertura del disco in cui chitarra, pianoforte e armonica a bocca mescolano i propri talenti: un'occasione irripetibile per fissare il tema centrale dell' esordio discografico “adulto” dei liguri Morose e le linee guida del progetto. Che si parli di cantautorato dimesso pare un fatto assodato, almeno a giudicare dal miscuglio di eleganti influenze alla base delle dodici tracce, di quelli che scendono a patti con l'alt-country quando si tratta di confezionare ballate crepuscolari - Der Grüne Punkt: -, con i toni malinconici dei Black Heart Procession negli episodi più oscuri - I Saw You Crying On The Bus e The Lumber-Room-Man –, con i vocalizzi “stoned” in puro stile Arab Strap - There's No Way To Come To You – in quelli meno drammatici.
C'è poco spazio in La mia ragazza mi ha lasciato per stati d'animo che non siano l'abbandono – splendidamente rimarcato dalla fisarmonica di Going to Damascus -, la desolante incompiutezza, la svagata disillusione. Un inno all'intimità più laconica che non fa prigionieri." Sentireascoltare

"Atteso con un certo fermento nella scena indie italiana, l'esordio dei liguri Morose non delude le aspettative ed esce sotto il marchio di ben quattro etichette, segnando un probabile record nazionale. Al di là dell'hype (e dal solito artwork da collezione concepito da Giacomo Spazio), comunque, la band composta dal Lo-Fi Sucks! Mauro Costagli, Luca Galuppini alias ONQ e da D. Saranza dimostra di essere cresciuta e di poter rappresentare una validissima risposta italiana al lo-fi rock d'oltreoceano. Echi di Califone e Black Heart Procession, testi (in inglese) colmi di malinconica passione, tocchi italianissimi di fisarmonica e persino scacciapensieri fanno di "La Mia Ragazza Mi Ha Lasciato" un ottimo esempio di canzone d'autore oscura e indolente. [...]"
Rockerilla # 273

"[...] A segnare la prima parte di "La mia ragazza mi ha lasciato" sono atmosfere prevalentemente tranquille, quelle di titoli come "Wind Took My Hair Away" (interessante e tutt'altro che fuori contesto l'uso della fisarmonica) e "Der Grune Punkt", in cui sono gli strumenti acustici a giocare un ruolo predominante, mentre la chitarra elettrica, pure esistente, svolge una funzione più da collante che non da protagonista. L'uso del pianoforte e di una sega suonata con un archetto, poi, avvicina la strumentale "I saw you crying on the bus" ai territori solitamente battuti dai Black Heart Procession, paragone che si ripropone anche nella successiva, marziale "The Lumber-Room Man". "There's no way to come to you", al contrario, è una ballata tinta di jazz, mentre "A Lovely Waitress", fra percussioni fracassone e un insolito scacciapensieri, e "Protect me from my friends" non dispiaceranno agli estimatori di Tom Waits. [...]"
Il Mucchio # 532

"Ho ascoltato questo lavoro molte volte. L’ho fatto perché non volevo cedere all’entusiasmo del primo approccio. Invece mi sono dovuta arrendere all’evidenza: questo disco dei Morose è bellissimo. E ad ogni ascolto cresce. 
Già con Best Ragards From Hungary del 2001 il gruppo ligure aveva riscosso un discreto successo di critica sia in Italia che all’estero e aveva partecipato a diverse compilations in ambito europeo e americano. 
A partire dal nome dato al cd, La Mia Ragazza Mi Ha Lasciato -unico indizio di italianità in un album totalmente cantato in inglese- ci sembra di intuire la caratteristica quanto meno ironica e al contempo slacker delle dodici tracce. Con un titolo che anche Muccino, con la sua testarda velleità sociologico-divulgativa, avrebbe invidiato per la capacità di accomunare chiunque attraverso un’esperienza molto frequente nella vita di ognuno quale è quella di esser lasciati dal proprio partner, i Morose esplorano i territori dell’indie rock in modo discreto e trasversale. 
La prima cosa che viene in mente ascoltandoli sono i Black Heart Procession dei primi tre episodi, soprattutto in canzoni come I Saw You Crying On The Bus (è una sega quella che flirta languidamente col piano?), The Lumber-Room-Man e Protect Me From My Friends. Ma se si guarda meglio, se si sbircia più a fondo tra ritmi cadenzati, i violini e una fisarmonica qua e là, si scopriranno anche tracce dei Pavement più scazzati, dei Sebadoh e dei Folk Implosion nonché di Robin Hitchcock e del Beck più sghembo. 
Wind Took My Hair Away è una ballata scarna e semplice, quasi una ninna nanna, dolce e sbilenca: è subito colpo di fulmine per un disco che manterrà, via via nello scorrere dei pezzi della tracklist, l’incanto di questo incipit. I quattro si scambiano continuamente gli strumenti avvicendandosi ora alla batteria, ora al piano, ora alla voce e trovano, nella massima spontaneità delle esecuzioni, il modus operandi più consono per la realizzazione dei loro intenti, la schiettezza come propria cifra stilistica. 
Tutto questo arricchito da liriche surreali quanto piene di ironia e sense of humor: 
" I’m just a country boy, I can’t understand how could you hold that tighly two different persons’ hands....But I’m not Henry Miller, and life is worse than a soap opera" e ancora "...Lord, save me from my friends, They just pretend I’ve got a target on my back, Lord, save me from my friends, they all pretend Shakespearean dramas have no end" per concludere con un inno ai daysleepers: "..’cause days are endless...and nights they’re just hopeless if you wake up in the morning, so don’t wake up in the morning, stay in your bed till the evening..". Grande saggezza. 
La Mia Ragazza Mi Ha Lasciato è un piccolo gioiello dell’indie italiano venuto su e cresciuto sotto gli occhi di pochi, senza molto clamore, e che ha parecchio da dire."
Musicboom.it

"Semplicemente meraviglioso. Non riesco ad andare oltre con le parole per esprimere la bellezza del disco di cui vi parlerò, ma credo che basti questo a farvi percepire la portata del nuovo sensazionale lavoro targato Morose, giovane entità già con una nutrita discografia alle spalle e da noi incrociata ai tempi della ottima raccolta di musica "da cameretta" compilata da quella Under My Bed Recordings che risulta essere tra le quattro etichette coinvolte in questa coproduzione assieme alla sempre più sorprendente Kimera e a due label-istituzione della nicchia indie-rock tricolore come Ouzel e Cane Andaluso.
"La Mia Ragazza Mi Ha Lasciato" è un disco che mi ha totalmente stregato fin dal primissimo ascolto e che diventerà anche per voi l'ideale sottofondo dei momenti di relax della vostra intensa giornata. I Morose, in teoria, suonano lo-fi rock, dove "lo-fi" è da intendersi più a livello "concettuale" che pratico considerata la registrazione piuttosto curata di cui si avvalgono. E' rock obliquo, dimesso e opportunamente strascicato, comunque, fieramente triste e sconsolato eppure di tanto in tanto illuminato da improvvisi lampi di euforia; rock denudato di tutti gli eventuali sviluppi di ordine commerciale e talmente colmo di contaminazioni da sfuggire a qualsivoglia rapida catalogazione; rock genuino e cerebrale nella sua espressione più meritoria, dai forti tratti countreggianti, con lo spettro di Nick Drake a volteggiare su queste composizioni ambiziose ed efficaci, fatalmente imbevute anche delle lezioni di Bob Dylan, Johnny Cash e di un certo ultimo Nick Cave (ascoltare Protect me from my friends).
E' una continua citazione ai classici, eppure non si ha mai la sensazione di essere davanti a qualcosa di troppo piegato sui modelli di riferimento. I padri putativi dei Morose sono i personaggi prima chiamati in causa ma anche Leonard Cohen e Lou Reed, i fratelli maggiori Will Oldham (e i suoi vari alter-ego), Lou Barlow, Mark Linkous, i Califone, e persino il Beck più roots e introspettivo, ma ad ogni modo i Nostri sono capaci di muoversi nei meandri della migliore tradizione folk/country americana con gran gusto, piglio moderno ed impressionante personalità. Le chitarre - acustiche ed elettriche - e gli archi si lasciano pigramente sopraffare da rumorosi tamburelli, da sghembi pianoforti, da strani fiati, da trasandate armoniche a bocca e da quant'altro, aprendo la strada a dissacranti giochetti con il jazz (There's no way to come to you) e alle più disparate suggestioni etnico-musicali, come la fisarmonica e il violino zigano nella stessa Protect me from my friends. In Going to Damascus compare persino un mandolino, o qualcosa chi gli asosmiglia molto, e da qualche altra parte fanno capolino finanche dei discreti inserti elettronici.
La tripletta iniziale Wind took my hair away - Der grune punkt - Worse than a soap opera (e in un certo senso anche la successiva I saw you crying on the bus) è in puro stile slacker, ma sbaglia chi pensa di arrivare fino al termine su queste corde (per inciso, non sarebbe affatto male neanche così): le saltellanti The lumber-room-man e A lovely waitress si prodigano in un alternative country folkeggiante che dona dinamismo all'opera, anche se con gli ultimi pezzi ci si torna ad immergere in atmosfere chiaroscure, cariche di malinconia. Il disco si chiude con When you wake up in the morning, un'intensa e nostalgica ballad blues-rock in pieno stile Tom Waits, magari dopo una serie di gargarismi con il vetriolo vista la timbrica completamente diversa: un po' nasale ma sostanzialmente pulita quella dell'addetto alla voce nei Morose, dove è pura carta vetrata quello del buon crooner statunitense.
Emozioni e poesia condensate in una dozzina di sentitissime tracce che non potranno non porre i Morose in una posizione privilegiata nella sotterranea ma vitalissima scena "indie" nazionale. "La Mia Ragazza Mi Ha Lasciato" (curioso il titolo in italiano, dal momento che tutti i testi sono rigorosamente in inglese) è un piccolo ma conveniente investimento che proponiamo non solo agli iniziati a certe sonorità: aprite i vostri orizzonti." Munnezza.tk

"Des brûlûres lentes et superficielles. Voilà ce que provoque l’écoute de cet album de Morose sorti sur le label italien Ouzel Records. Ce groupe tout aussi italien (des environs de La Spezia) impose ces mélodies mélancoliques, qui ne sont superficielles que de nom. Car on les garde, on les protège et on s’en rappelle longtemps. 
Mais il n’y a pas de marques ni de traces en surface. Tout se passe à l’intérieur, comme une sorte de bande son intérieure idéale.
Proche d’une langueur et de rythmes que n’auraient pas reniés Cat Power ou Smog, la musique de Morose va bien au delà de ces influences. Le point commun est peut être le parti pris pour un minimalisme bien senti. En résumé, rien n’est de trop. 
Beaucoup d’instruments sont utilisés au total, même si la base musicale s’articule autour des classiques : guitare, voix, basse, batterie, claviers. On y compte aussi accordéon, glockenspiel, violoncelle, clarinette, trompette, et bien d’autres, qui donnent à chaque chanson un petit trait de couleur supplémentaire et inédit.
Le rythme est donc lent le plus souvent. Disons lent par rapport à la moyenne. Lent par rapport au reste. Une lenteur toute relative. Celle qui permet d’aller au fond, de creuser, de prendre du recul, d’inspirer à fond, d’expirer tout l’air de ses poumons. De « Wind took my hair away » à « Protect me from my friends » en passant par « There’s no way to come to you », on fait face à autant de comptines et de saynètes mélodiques et douces.
Quand le coeur s’accélère et qu’on se surprend à s’emporter, c’est pour mieux soutenir et tenir le sentiment du moment (« I saw you crying on the bus », « The lumber-room man »).
Sur scène, Morose est : Davide (guitare, voix), Federico (batterie, glockenspiel), Valerio (clarinette, basse, voix) et Pier (guitare électrique), qui avancent comme un seul homme dans le même vaisseau, la même embarcation (« J’ai construit une embarcation avec les planches de mon lit, pour naviguer sur la mer qui m’éloigne de toi. Je suis ivre avec mes amis mais attends moi, j’arrive, je reviens... »).
Sur cette mer déchaînée des sentiments amoureux désabusés, Morose file son chemin sur sa petite coque de noix, évitant les écueils et bravant les tempêtes. Ils allument des petits feux comme autant de signaux de détresse, d’un désespoir voulu et accepté et de toute beauté, qui aura toujours plus de goût que les incendies sans classe des grosses productions."
Indietronica (Francia)

"A soft and heartwarming ride through modern and traditional renditions of the most primary troubles in modern relationships. Girl lost, unable to get girl, and so on. Stories like these have always been the core of musical issues. Morose are able to dress these stories into a wide variety of styles, from little pop-songs to songs that sound like classics right away. And they do it all with just small variations of their instrumentary – accoustic guitar, drums and bass or a second guitar (or a flute or a harmonica and so on). At times they invite friends to play cello or sing along. At other times they mix field recordings into instrumentals. But all the way through “la mia ragazza …” Morose sound like Morose. This will be one of my favourite records of 2004, I am sure.
Today is the first day of November, the day after Helloween (which I don’t celebrate), and as every year it is a cold and grey day. The smell of winter is in the air and looking out my window everything looks dead. But there is a source of warmth in my room that warms me better than any radiator or oven – it is the new CD by Morose. Like reading a collection of heartfelt short stories on a winter night, the three musicians of Morose plus various guests travel through twelve chapters, from elegic lo-fi-pop to orchestral songs of epic proportions with some almost alt.country-ones in between. The mood is melancholic and pensive, like being sad in a good way. Because life is like that in autumn and winter, there is so much silence and room for thinking about what happened through the warmer months. Even the music is low, because you don’t want to wake up anyone still sleeping in the room next door.
Take, for example the song, “worse than a soap opera”: it starts off with a minor string on a cello and the singer states: “I’m just a country-boy – I can’t understand / how you could hold tight two different persons’ hands”. What a devastating blow emotionally to the narrator, but captured in two simple and easy sentences. And when he starts to realise how bad he had been dealt with, of, course thoughts of murder stumble into his mind and spread like a dark fog around every thought, but he can’t do it, because: “Put your t-shirt back on – I won’t pull the trigger / But I’m not Henry Miller – I’m not Henry Miller.” Actually, it was Willam Burroughs who shot his wife, but that is not what he is getting at. Henry Miller always was completely consequent and 100 percent true in all his feelings and emotions. And realizing the trap he is in, the bad cards life has dealt him, the singer starts the ending lines, which are sung in a heartbreaking chorus over and over again: “Life is worse than a soap opera”. I don’t think Spiritualized or The Doves could do it any better, and they couldn’t do it with that little production. What would happen, if Morose were able to get ahold of a really big production budget?
One more thought on that last line: I have experienced a lot of troubles in relationships in my circle of friends, that whatever I see in soap operas seems like easy going and completely unrealistic to me. Life writes fates much worse than any tv-director would ever dare to show on the screen. There are men falling in love with married women, who don’t know if they should leave their husbands or not, so everything stays in hiatus for months without end. There are fathers crashing with helicopters and pregnant women throwing their husbands out of the flat because they don’t fell loved enough anymore, or whatever. All these things can make me go out of my mind. And all of that I find in that one little song, that one little line. That is great art, isn’t it.
After “worse than a soap opera”, “la mia ragazza mia ha lasciato” – which means “my girlfriend has left me in italian by the way – slips into an instrumental which goes from lonely street fieldrecordings into a singing saw. Then there will be Leonard Cohen-like blues songs, some harmonicas, hints at swing and jazz, but all of it clothed in a fine accoustic atmosphere of one guitar, silent drums and bass. My personal highlight, though it is hard to chose, is “a lovely waitress” – a country-soaked song about beer and loneliness that is much closer to Hank Williams (“There is a tear in my beer”) than to Belle & Sebastian (“Dear catastrophe waitress”). You might also find a hint of the “whiskey bar song” by The Doors (can’t remember the correct title now and I am not able to find my doors-CD) included traditional country-instruments, get a surprise. The lyrics are also as close to the originals as a young man from Italy can ever manage to get.
Next off on the album are more modern songs, one instrumental that mixes again street-noise with harmonies and then more melancholic songs that reminds me of Yume Bitsu in their modernity or Midnight Choir in ther elegic sadness. “la mia ragazza…” closes off with a choir of friends singing “don’t you wake up in the morning, just go on dreaming and don’t wake up at all” to a fine melody that will stick in your ear. As far as closing records goes, this is as good as “Death is not the end” on Nick Cave’s “Murder Ballads”, “Last Train to Mercy” on The Walkabouts “Scavenger” or “In the long still night” on Gallon Drunks masterpiece of the same title. (I’d like to mention “we’ll meet again” on Johnny Cash’s last album “the man comes around – American Recordings IV” as the best closing song of a record ever and in hindsight I don’t think there will ever be a moment on any record as emotionally tearing for me as this one. Moreover, to compare anyone to Johnny Cash comes as close to sacrilege as an atheist like me could come to.)
Yes, there is a way to wallow in the beauty of sadness. If you have an ear for harmonies that tear your heart out and for melodies that leave you thoughtful and cleansed of bad thoughts, you’ll know what I am talking about."
Monochrom.at (Austria)

"Ci sono gruppi che fanno album semplici e “sentiti”, senza voler creare particolari innovazioni, addentrandosi in sfere sonore già visitate da altri, ma non per questo meno affascinanti o apprezzabili.
I Morose entrano in questa schiera di formazioni, precisamente in quelle vicine al concetto di indie rock deviato, possibilmente cupo, con tinte lo-fi che si mischiano a rumori saltuari e limitati, in cui un atteggiamento di base folk non scompare nemmeno nei rari istanti in cui fa capolino un crescendo mai impetuoso e sempre “disturbato”. L’area, si diceva, è chiara, quei territori cari al Lou Barlow del primo periodo Folk Implosion e (soprattutto) alla premiata ditta Jenkins & Nathaniel (trascurando l’ultimo “Amore del Tropico), ma non vanno dimenticate l’attitudine prossima ai "soliti" Pavement (quelli a cui fregava poco di tutto), quella finta ingenuità di qualche cantastorie americano e un gradito retrogusto di Red Red Meat. Volutamente malinconici, geneticamente scarni, i nostri non disdegnano di offrirci nei testi qualche spruzzata di obliquità letteraria venata da una sottile ironia, piacevole perché non richiesta. 
Evocativi al punto giusto, senza apparenti pretese, i Morose dimostrano di sapere quello che vogliono e, soprattutto, di riuscirlo a fare più che discretamente. Alcuni miglioramenti (scrittura e un’individualità maggiormente marcata) e ci troveremo davanti a qualcosa di importante."
Kronic.it

" I confini della musica cosiddetta desert conquistano anche l’Italia, grazie ai Morose. Il suono de La mia ragazza mi ha lasciato, malinconico e a tratti visionario porta la band ligure ad essere il primo esempio di come influenze folk-cantutorali, che in Cohen e Cash prima e Black Heart Procession poi, sono state l’anello di congiunzione tra la sperimentazione e la ricerca delle origini di musica, eseguita essenzialmente con strumentazione acustica. Un lavoro molto bello, composto da dodici delicate carezze che sembrano farti male più di un pugno preso in pieno viso e composto da una band che con il tempo, subite defezioni e allontanamenti, sembra aver trovato stabilità nel connubio tra Davide Saranza,Valerio Sartori e Mauro Costagli, quest’ultimo batterista anche del gruppo Lo-Fi Sucks. La sega a nastro suonata nel brano I saw you crying on the bus è letteralmente da brividi, mentre tra le altre tracce tra un pianoforte sofferto, un chitarra acustica disarmante e una elettrica timida, percussioni furbastre e testi cantati in inglese, si fatica a trovare quale sia la migliore. Un piccolo gioiello quello dei Morose (bello anche nel booking) che vale la pena scoprire, perché se non è ancora chiaro, questa band fa parte di quella realtà che, seppur piccola, in Italia rappresenta la parte migliore della musica. "
Comunicazione Interna

""La mia ragazza mi ha lasciato": a dimostrazione che (quasi, suvvia) tutte le educazioni sentimentali esperibili in natura non hanno nulla di significativamente utile da insegnare. Ne deriva una dozzina di canzoni minute che fanno appassire il cuore, autoindulgenti e autistiche in giusta percentuale, irrisolte fra lo spleen dei poeti e lo scazzo di noialtri salariati, in oscillazione pendolare fra ballate folk claudicanti e blues remissivi, il tutto trattato con un tocco di trascuratezza slacker che offusca i contorni e sgualcisce opportunamente le melodie. E a guarnirle invece, arrangiamenti vari e spesso eventuali, quello che passa il convento o l'assistente sociale, percussioni assortite, pianoforte, kazoo, scacciapensieri, flauto, e con maggiore incidenza violoncello e fisarmonica, tutti arrendevolmente piegati alle basse traiettorie dettate dalla chitarra acustica. Quindi, esiti complessivi di spropositata malinconia per un gruppo che, seppur affine a nomi come Black Heart Procession e altri cortei funebri a piacere, gode nel proprio strategico ripiegamento di una perfetta autosufficienza. Che è caratteristica irrinunciabile per piangersi addosso, ancor prima e ancor più che per comporre ottima musica, come nel caso presente. Comunque e sempre, cd consigliatissimo ai "ragazzi tristi come me".
Postilla 1. Gli appassionati di genealogia possono rintracciare membri dei Morose in altri gruppi e progetti di ligure provenienza come Lo-Fi Sucks! e ONQ.
Postilla 2. per il packaging, semplicemente meraviglioso, perché anche l'occhio… Confezione apribile in cartoncino marrone, con copertina stile cartolina postale (sotto il titolo quattro righe per scrivere il nome del destinatario) e tanto di francobollo appiccicato, con dodici -ancora- cartoline in bianco e nero all'interno, con testi e disegnini emotivamente compatibili. Perché tutti abbiamo ricevuto almeno una lettera d'addio, magari crudelmente inviata con affrancatura ordinaria (arriva soltanto nell'era geologica successiva, lasciando campo libero a una sagra di ipotesi penose e speranze malriposte)."
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